A volte occorre soffermarsi, riflettere e aprire gli occhi su alcune tematiche che purtroppo stiamo ignorando (o vogliamo ignorare).
Tematiche che i nostri nonni hanno vissuto in prima persona ma che noi giovani abbiamo già dimenticato catalogandole come una “storia” che non potrà più ripetersi.
Oggi andrò al campo di concentramento di Fossoli, vicino a Carpi, dove successivamente mi recherò per visitare il Museo del deportato e la città stessa.
Fossoli: grida nel silenzio.
Fossoli non dista molto da casa mia e arrivo in loco giusto all’orario di apertura del campo.
Prima dell’ingresso, già dall’esterno si avverte la freddezza del luogo, mi accingo ad entrare.
All’ingresso è presente una guida, molto preparata, che illustra ai presenti la storia del luogo.
Silenzio i toni del cellulare e metto nello zaino la fotocamera, ora voglio solo ascoltare la spiegazione e provare ad entrare in contatto con la vera natura del luogo, quel luogo in cui, come me ora, hanno camminato tante persone, ma non in visita, persone che hanno visto infranti i loro sogni e stroncate le loro vite semplicemente per essere “nati sbagliati“.
Il campo, diviso tra campo nuovo e campo vecchio, fu costruito nel 1942 per i prigionieri di guerra.
Nel 1943 divenne un campo di concentramento e deportazione per ebrei, da qui partirono 12 convogli che trasportavano i prigionieri verso i campi di concentramento come Auschwitz-Birkenau, Mauthausen, Dachau, Buchenwald, Flossenburg e Ravensbrück.
Dopo la guerra il campo fu utilizzato per altri scopi e le baracche vennero tutte modificate, tranne una che è rimasta pressoché come allora: una camerata molto grande con travi in legno al soffitto e pavimento in cotto.
Piccole finestre poste in alto, per non permettere ai prigionieri di guardare verso il mondo esterno, verso la libertà.
Nella baracca è stato allestito un mini museo e un plastico illustra la struttura originaria del campo.
Il grande cortile serviva per radunare ogni sera i prigionieri e fare l’appello. Veniva inoltre utilizzato per richiamarli e avvertirli che il giorno successivo sarebbero partiti verso destinazione ignota…
Un pullman li avrebbe aspettati all’alba del giorno successivo e li avrebbe portati alla stazione di Carpi, dove un convoglio li avrebbe portati verso la loro condanna.
Da Agosto a Novembre del 1944 il campo divenne un centro di raccolta per manodopera destinata alla Germania (in particolare politici allontanati dal fronte).
Dal 1945 al 1947 diventa il campo degli “indesiderabili”, un centro di raccolta per profughi stranieri.
Dal 1947 al 1952 il campo venne occupato dall’Opera Piccoli Apostoli (detta Nomadelfia) fondata da Don Zeno Saltini, un sacerdote di Fossoli, per ospitare famiglie e bambini orfani di guerra.
Dal 1954 al 1970 il campo venne occupato dai profughi giuliano-dalmati che fondano il Villaggio San Marco.
Dopo il 1970 il campo fu abbandonato fino a quando, nel 1984 venne concesso al Comune.
Ormai sono solo vecchie rovine, muri crollati, pietre, silenzio, ma in quelle pietre e in quei silenzi si sentono ancora le sofferenze, le grida e si vede ancora scorrere il sangue di tanti innocenti.
Per non dimenticare, MAI, consiglio davvero a chiunque di farci un salto!
Carpi: il Museo del deportato politico e razziale.
Non potevo non concludere la mia visita senza andare a visitare il “Museo del Deportato politico e razziale” a Carpi, presso Palazzo dei Pio.
Il museo è composto da 13 sale i cui muri sono decorati da famosi pittori (Cagli, Guttuso, Léger, Longoni, Picasso).
e sono riportati testi tratti da lettere di condannati a morte dei Lager nazisti.
Questa è la parte più toccante del museo: pensieri di persone che andavano incontro alla morte a testa alta, senza pentirsi degli ideali di pace che avevano sostenuto.
Padri di famiglia, ragazzi giovanissimi, tutti verso un destino crudele, opera della ferocia e violenza dell’uomo.
Gli oggetti in esposizione rendono l’ambiente ancora più toccante; manifesti delle condanne a morte, bracciali con i numeri dei prigionieri, oggetti, fotografie.
Lettere e disegni di bambini.
Ed infine la sala dei nomi, in cui sono incisi, su pareti e soffitto i nomi di quattordicimila deportati italiani nei campi di concentramento nazisti.
Ho pensato alle belle pareti decorate che ho visitato nei miei ultimi viaggi e trovandomi in questa stanza ho compreso che in un certo senso anche questa è un’arte: la facoltà dell’essere umano di mantenere vivi i ricordi, per tutti coloro che non hanno vissuto in prima persona queste vicende e per chi pensa che oramai siano distanti.
Pensate bene, pensate bene miei cari lettori…. morire per la libertà dei vostri cari, sostenere un’ideale fino alla morte, lo fareste?
Occorre conoscere per evitare di ricadere nuovamente in errori e in orrori tanto grandi.
Ricordate.. meditate… mantenete viva la vostra dignità e la forza di saper scegliere cosa è giusto e cosa sbagliato.
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